Il narratore di fiabe

Monica Masdea, febbraio 2024

Volo. Volo senza ali e senza gravità. Dall’alto vedo fiumi, strade, piccole case e piccoli uomini. Insieme a me volano gnomi, fate e uno splendido cavallo bianco. La nostra meta è un paese lontano dove sorge un castello incantato. Lì mi aspetta una principessa o forse un principe, non lo so ancora. Sono felice.

La radio sta trasmettendo una vecchia canzone e in un attimo mi ricorda chi sono. Poso la penna sulla scrivania e l’incanto, almeno per oggi, è finito. Per altra felicità dovrò aspettare domani.

Sulla scrivania ci sono decine di fiabe. Dovrò decidere quali di queste inviare all’editore, di quali privarmi e quali dare in pasto ai bambini di oggi.

È giovedì. Detesto il giovedì perché è il giorno della spesa. Devo uscire e sento tutta la fatica del mio vecchio corpo. Le scale, la strada in salita, la borsa pesante e poi la gente. Devo parlare, salutare, fingere interesse per ciò che invece detesto.
Il giovedì viene anche la signora Maria. Mi aiuta un po’ in casa, ma lo sa. Mi saluta quando arriva e quando se ne va, poi non dice più nulla. In silenzio fa il suo lavoro.

Mi alzo dalla sedia con fatica, la schiena mi fa male, la testa è pesante; il mio corpo che vagava in aria senza ali è diventato di pietra. È tempo che mi prepari la cena. La lampadina in cucina si è fulminata già da qualche giorno; anche se non mi dispiace mangiare nella penombra, devo sbrigarmi prima del tramonto.

Dietro la porta di vetro di una stanza dove non entro da giorni, vedo le lame di una fievole luce che attraversano la persiana chiusa e la sagoma minacciosa di un mobile coperto con un grande lenzuolo.  “Sei forse un fantasma?” gli grido “Svelati, fellone, e io ti affronterò da eroe quale sono”. Il fantasma però non si palesa. Gli grido ancora: “Vigliacco, non hai cuore di affrontarmi? Dimmi, chi sei e cosa vuoi?”

La grande sagoma bianca rimane immobile e io, lentamente, mi avvio in cucina. Oramai il sole è tramontato. Il mio giorno è finito; domani per fortuna siederò ancora al mio tavolo, con la penna ritornerò a vivere nelle mie favole dove il cielo è sempre limpido, il sole riscalda i muri bianchi delle case e io, con indosso abiti dai colori sgargianti, cavalco un destriero dalla folta criniera e parlo con gli animali, feroci oppure no.

Nulla mi spaventa, sono un eroe. Un eroe che non ha paura di niente, nemmeno di vivere.

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