Una limonata con un’idea

Luigi Flore luglio 2023

«Questa non la racconto!» pensai, mentre guardandomi intorno cercavo chi potesse essere. Solo il barista poteva sapere che stavo aspettando qualcuno, visto che avevo rimandato l’ordinazione a quando questo qualcuno fosse arrivato.

 Ero seduto a quel tavolino da venti minuti ed erano le nove e dieci. Mi andavo convincendo che fosse tutta una stupidaggine, che non sarebbe potuto succedere davvero. Eppure, era stato così convincente quel segnale… sette partite, sette domeniche in cui via via verificavo che i pronostici erano tutti azzeccati anche nel punteggio, erano la prova che quel sogno doveva contenere una certa qual credibilità. La mia squadra aveva continuato a perdere anche se la mia fede sportiva non vacillava: al contrario, adesso, la speranza di quell’incontro cominciava a sbiadire, anche perché non mi sarei mai aspettato che lui potesse ritardare.

 Già, lui. E perché non una lei? Da sempre l’ho immaginato uomo, sicuramente influenzato da una ingente quantità di raffigurazioni che fin da bambino me lo hanno fatto vedere così…

 Continuavo ad osservare chiunque si avvicinasse cercando di scoprire un minimo ammiccamento che mi facesse capire. Quello col cane? Difficile. Quella tutta truccata? Mah! Ogni tanto incrociavo lo sguardo con la cassiera che mi osservava interessata, forse pensando che il mio fosse chissà quale appuntamento al buio. In parte lo era, ma tutta un’altra cosa rispetto a quello che lei potesse immaginare.

 Un omino, direi insignificante, elegante come lo può essere un omino, mi si avvicinò chiedendomi: «Posso?».

Scattai in piedi, col cuore in gola, e, con voce un po’ strozzata per la saliva che ingoiavo, risposi «Ma certo! La stavo aspettando…». In effetti mi ricordai che nel sogno lui non c’era, ma c’era quella voce fuori campo che mi parlava. Mi diceva «vorrei parlarti, ma da sveglio. Che ne dici se ci vediamo fra due mesi, il lunedì, alle nove, al bar dove usualmente ti prendi il caffè?». «Certo» risposi, «certo…». «Senti, capisco che la cosa ti possa sembrare strana, ma ti vorrei far capire che è una cosa seria, vera, non un sogno…» e, per convincermi, cominciò ad elencarmi i risultati delle successive partite della mia squadra, fino alla domenica precedente questo appuntamento. Ripensandoci, avrebbe potuto pure mettere le cose un po’ meglio, invece di tutte quelle sconfitte, ma tant’è. 

Capì subito dal mio sguardo lo stupore di vederlo così.
«C’è qualcosa che non va?», mi disse.
«No, si figuri…», mentii.
«Senti, per facilitare il dialogo, proporrei di darci del tu, anche perché sono piuttosto abituato ad ascoltare persone che mi danno del tu, anche se non gli rispondo mai.»
«Ma guarda, non ci avevo mai pensato, è vero! D’accordo, diamoci del tu».

          A questo punto arrivò il cameriere, che ci rivolse l’invito ad ordinare la consumazione.
«Che prendi?», feci incuriosito.
«Una spremuta di limone, grazie.»
«Due», dissi, pensando che non potesse esserci nulla di meglio.
«Come mai?» gli chiesi.
«Come mai che?»
«La limonata…»
«Ah sì! Il limone. Sono sempre stato attratto da questo agrume che vive innestato sull’arancio selvatico, che ha il piede in un modo ed il resto in un altro. È un po’ la metafora della mia situazione.»

Finsi di capire; passò qualche istante di silenzio, nel quale la mia testa passava in rassegna domande. Lui mi guardava con una espressione tra il divertito e l’annoiato, quasi sapesse tutto ciò che pensavo.
Esordii: «Senti, scusami la sincerità, ma a tutto pensavo fuorché tu potessi arrivare in ritardo. Alle nove, avevi detto, no?».
«Si, si, lo avevo detto. A parte il fatto che ho sempre avuto dei problemi con il tempo, ma in fondo, dieci minuti…».
«Già, in confronto con l’eternità…».
«Vedo che siamo spiritosi, comunque mi sembra un ottimo spunto per iniziare questo dialogo. Come mai confronti l’eternità (cioè, la mancanza di tempo) con dieci minuti? Come si fa a confrontare il niente con un tempo che scorre, e, per la miseria, scorre anche in maniera diversa a seconda di come ti muovi? I miei spostamenti vagano tra il niente e il tempo, è difficile essere puntuali!».
«Pensavo che tu fossi perfetto…» risposi incautamente.
La sua espressione cambiò, divenne scura, malinconica.
«Tu sei padre?» mi chiese, già conoscendo la risposta.
«Si, di due figli, un maschio ed una femmina»
«Quand’è che hai deluso per la prima volta uno di loro, quando si sono accorti che tu non eri perfetto?»

Non credo di aver mai pensato a questo. Forse la loro delusione non mi è arrivata mai. Certo da un po’ di tempo avevano cominciato a prendermi in giro su tutto: intimamente avevo salutato ciò come un fatto positivo, una fase necessaria di maturazione dei figli che si distaccano dalla figura paterna per cominciare ad essere autonomi.
«Non lo so» risposi, «ma di sicuro se ne sono accorti».
«Sei fortunato, non hai più bisogno di dimostrare di essere null’altro di quello che sei. La sicurezza a loro la dai essendo te stesso, non un super eroe perfetto ed onnipotente. E i tuoi figli lo sanno, e non pretendono da te, che in fondo li hai solo messi al mondo, di esserlo. Per me è un’altra storia. Dovunque mi giro trovo persone che mi adorano ignorando ciecamente quelli che sono i miei errori, o pensando che io possa governare tutto ciò che succede nel mondo, o addirittura nell’universo.» 
Era l’inizio di uno sfogo. Cominciai a capire perché avesse voluto parlare con me.

Prese un sorso di limonata, e fu sorpreso dal sapore come se non lo conoscesse.
«Non sono molto abituato ad incarnarmi», disse, «e certi sapori mi sorprendono sempre. Si, mi sorprendono perché non li conosco. Forse tu puoi sapere se tuo figlio farà l’astronauta o il barbone? o l’avvocato, o il tiranno? No, non lo sai, tu hai solo generato i tuoi figli, non ne hai scritto la loro storia, né puoi governare il futuro della loro prole. Perché io devo sapere tutto?».

 La cosa stava prendendo una brutta piega, la voce cominciava ad alterarsi. Cercai di distrarlo con una battuta:
«Certo, l’aspetto che ti sei scelto non mi pare di prima qualità!». Non l’avessi mai fatto. Senza neanche prendere respiro, mi disse: «E già, dovevo essere perfetto anche nell’aspetto! Ma è questo l’aspetto perfetto. Come si può giudicare la perfezione, che è un’idea umana, e quindi imperfetta? È perfetta una bella donna? Quando, in un momento, in un mese in un anno? E lei si considera tale? La perfezione è assoluta? Relativa? Che razza di perfezione è quella relativa. È perfetto ciò che non richiede perfezione. Il mio omino rappresenta l’accettazione di sé stesso, la pace con sé, non il modo con cui gli altri lo giudicano. È questo il punto: si parla di cose di cui ognuno ha un’idea personale credendo che il suo modo di vedere sia universale. Io stesso sono un’idea, e mi ti propongo nel modo che tu puoi capire.».
Rimasi perplesso. Lui incalzò: «Si, sono un’idea, sono un’idea contagiosa. Le conosci pure tu le macchie di religione sulla terra. Ma ti pare che, se io fossi assoluto non sarei uguale dappertutto? Era molto più divertente nell’antica Grecia, dove ero umano e mi era concesso di avere tutti i difetti possibili. Anzi, non ero solo, ma eravamo in tanti e ce la spassavamo, ah se ce la spassavamo!».

 Un cane abbaiò e io mi voltai a guardarlo. Pensai che fosse il mio turno di porre delle domande. Il cervello brulicava di quesiti che sgomitavano per farsi avanti. Ma infine mi si presentò quella più curiosa: «Ma dimmi una cosa: quando, dopo la fine del mondo, l’anima si riunirà con il corpo, quale corpo sarà, tra le molteplici variazioni che il corpo stesso subisce nella vita? A vent’anni, a trenta o all’età in cui si muore? E i neonati? E i cremati?». Mi girai e mi accorsi con disappunto che lui non c’era più: aveva finito la limonata e se ne era andato via.

 Il sudore mi bagnava tutto il corpo e le lenzuola si erano arrotolate come uno stoppino, quando mi accorsi che erano le tre di notte perché in quell’istante la pendola batteva l’ora. Avevo fatto un viaggio al di fuori del tempo e avevo parlato con dio.

Era evidente che tutte quelle sconfitte mi avevano creato uno stress; chissà se nel resto della notte avrei potuto sognare la mia squadra che vinceva…

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