Anche GRANDI autori hanno scritto
piccoli racconti.
Una storia al mese.

“Che altri si vantino delle pagine che hanno scritto. Io sono orgoglioso di quelle che ho letto”
(Jorge Luis Borges)
Ottobre 2023
Settembre 2023
Agosto 2023
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Agosto

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La sentinella
di Fredric Brown
Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame e freddo ed era lontano cinquantamila anni-luce da casa. Un sole straniero dava una gelida luce azzurra e la gravità, doppia di quella a cui era abituato, faceva d’ogni movimento una agonia di fatica. Ma dopo decine di migliaia di anni quest’angolo di guerra non era cambiato.
Era comodo per quelli dell’aviazione, con le loro astronavi tirate a lucido e le loro superarmi; ma quando si arrivava al dunque, toccava ancora al soldato di terra, alla fanteria, prendere la posizione e tenerla, col sangue, palmo a palmo. Come questo fottuto pianeta di una stella mai sentita nominare finché non ce lo avevano sbarcato. E adesso era suolo sacro perché c’era arrivato anche il nemico.
Il nemico, l’unica altra razza intelligente della Galassia…. crudeli, schifosi, ripugnanti mostri.
Il primo contatto era avvenuto vicino al centro della Galassia, dopo la lenta e difficile colonizzazione di qualche migliaio di pianeti; ed era stata la guerra, subito; quelli avevano cominciato a sparare senza nemmeno tentare un accordo, una soluzione pacifica. E adesso, pianeta per pianeta, bisognava combattere, coi denti e con le unghie. Era bagnato fradicio e coperto di fango e aveva fame e freddo, e il giorno era livido e spazzato da un vento violento che gli faceva male agli occhi. Ma i nemici tentavano di infiltrarsi e ogni avamposto era vitale.
Stava all’erta, il fucile pronto. Lontano cinquantamila anni-luce dalla patria, a combattere su un mondo straniero e a chiedersi se ce l’avrebbe mai fatta a riportare a casa la pelle.
E allora vide uno di loro strisciare verso di lui. Prese la mira e fece fuoco. Il nemico emise quel verso strano, agghiacciante, che tutti loro facevano, poi non si mosse più.
Il verso e la vista del cadavere lo fecero rabbrividire. Molti, col passare del tempo, s’erano abituati, non ci facevano più caso; ma lui no.
Erano creature troppo schifose, con solo due braccia e due gambe, quella pelle d’un bianco nauseante, e senza squame.

Fredric William Brown (1906 – 1972) scrittore statunitense di fantascienza e di gialli.
L’audio è realizzato da Audioraccontando (su Youtube)
Settembre

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La morte dell’impiegato
di Antòn Cechov
Una magnifica sera un non meno magnifico usciere, Ivàn Dmitric’ Cerviakòv, era seduto nella seconda fila di poltrone e seguiva col binocolo “Le campane di Corneville”. Guardava e si sentiva al colmo della beatitudine. Ma a un tratto… Nei racconti spesso s’incontra questo “a un tratto”. Gli autori han ragione: la vita è così piena d’imprevisti! Ma a un tratto il suo viso fece una smorfia, gli occhi si stralunarono, il respiro gli si fermò… egli scostò dagli occhi il binocolo, si china e… eccì!!! Aveva starnutito, come vedete.
Starnutire non è vietato ad alcuno e in nessun posto. Starnutiscono i contadini, e i capi di polizia, e a volte perfino i consiglieri segreti. Tutti starnutiscono. Cerviakòv non si confuse per nulla, s’asciugò col fazzolettino e, da persona garbata, guardò intorno a sé: non aveva disturbato qualcuno col suo starnuto? Ma qui, sì, gli toccò confondersi. Vide che un vecchietto, seduto davanti a lui, nella prima fila di poltrone, stava asciugandosi accuratamente la calvizie e il collo col guanto e borbottava qualcosa. Nel vecchietto Cerviakòv riconobbe il generale civile Brizzalov, in servizio al dicastero delle comunicazioni.
«L’ho spruzzato!», pensò Cerviakòv. «Non è il mio superiore, è un estraneo, ma tuttavia è seccante. Bisogna scusarsi».
Cerviakòv tossì, si sporse col busto in avanti e bisbigliò all’orecchio del generale: – Scusate, eccellenza, vi ho spruzzato… io involontariamente…
- Non è nulla, non è nulla…
- Per amor di Dio, scusatemi. Io, vedete… non lo volevo!
- Ah, sedete, vi prego! Lasciatemi ascoltare!
Cerviakòv rimase impacciato, sorrise scioccamente e riprese a guardar la scena. Guardava, ma ormai beatitudine non ne sentiva più. Cominciò a tormentarlo l’inquietudine. Nell’intervallo egli s’avvicinò a Brizzalov, passeggiò un poco accanto a lui e, vinta la timidezza, mormorò:
- Vi ho spruzzato, eccellenza… Perdonate… Io, vedete… non che volessi…
- Ah, smettetela… Io ho già dimenticato, e voi ci tornate sempre su! – disse il generale e mosse con impazienza il labbro inferiore.
«Ha dimenticato, e intanto ha la malignità negli occhi», pensò Cerviakòv, gettando occhiate sospettose al generale. «Non vuol nemmeno parlare. Bisognerebbe spiegargli che non desideravo affatto… che questa è una legge di natura, se no penserà ch’io volessi sputare. Se non lo penserà adesso, lo penserà poi! …».
Giunto a casa, Cerviakòv riferì alla moglie il suo atto incivile. La moglie, come a lui parve, prese l’accaduto con troppa leggerezza; ella si spaventò soltanto, ma poi, quando apprese che Brizzalov era un “estraneo”, si tranquillò.
- Ma tuttavia passaci, scusati, – disse. – Penserà che tu non sappia comportarti in pubblico!
- Ecco, è proprio questo! Io mi sono scusato, ma lui in un certo modo strano… Una sola parola sensata non l’ha detta. E non c’era neppur tempo di discorrere.
Il giorno dopo Cerviakòv indossò la divisa di servizio nuova, si fece tagliare i capelli e andò da Brizzalov a spiegare… Entrato nella sala di ricevimento del generale, vide là numerosi postulanti, e in mezzo ai postulanti anche il generale in persona, che già aveva cominciato l’accettazione delle domande. Interrogati alcuni visitatori, il generale alzò gli occhi anche su Cerviakòv.
- Ieri, all’Arcadia, se rammentate, eccellenza, – prese a esporre l’usciere, – io starnutii e… involontariamente vi spruzzai… Scus…
- Che bazzecole… Dio sa che è! Voi che cosa desiderate? – si rivolse il generale al postulante successivo.
«Non vuol parlare!», pensò Cerviakav. impallidendo. È arrabbiato dunque… No, non posso lasciarla così… Gli spiegherò…».
Quando il generale finì di conversare con l’ultimo postulante e si diresse verso gli appartamenti interni, Cerviakòv fece un passo dietro a lui e prese a mormorare: – Eccellenza! Se oso incomodare vostra eccellenza, è precisamente per un senso, posso dire, di pentimento! …Non lo feci apposta, voi stesso lo sapete!
Il generale fece una faccia piagnucolosa e agitò la mano.
- Ma voi vi burlate semplicemente, egregio signore! – diss’egli, scomparendo dietro la porta.
«Che burla c’è mai qui?», pensò Cerviakòv. «Qui non c’è proprio nessuna burla! È generale, ma non può capire! Quand’è così, non starò più a scusarmi con questo fanfarone! Vada al diavolo! Gli scriverò una lettera e non ci andrò più! Com’è vero Dio, non ci andrò più!».
Così pensava Cerviakòv andando a casa. La lettera al generale non la scrisse. Pensò, pensò, ma in nessuna maniera poté concepir quella lettera. Gli toccò il giorno dopo andar in persona a spiegare.
- Ieri venni a incomodare vostra eccellenza, – si mise a borbottare, quando il generale alzò su di lui due occhi interrogativi, – non già per burlarmi, come vi piacque dire. Io mi scusavo perché, starnutendo, vi avevo spruzzato… e a burlarmi non pensavo nemmeno. Oserei io burlarmi? Se noi ci burlassimo, vorrebbe dire allora che non c’è più alcun rispetto… per le persone…
- Vattene! – garrì il generale, fattosi d’un tratto livido e tremante.
- Che cosa? – domandò con un bisbiglio Cerviakòv, venendo meno dallo sgomento.
- Vattene! – ripeté il generale, pestando i piedi.
Nel ventre di Cerviakòv qualcosa si lacerò. Senza veder nulla, senza udir nulla, egli indietreggiò verso la porta, uscì in strada e si trascinò via… Arrivato macchinalmente a casa, senza togliersi la divisa di servizio, si coricò sul divano e… morì.

Anton Pavlovič Čechov (1860-1904) è stato uno scrittore e drammaturgo russo, tra i maggiori autori letterari e teatrali europei del XIX secolo.
L’audio è realizzato da Audioraccontando (su Youtube)
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Ottobre

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Pantomina
di Achille Campanile
La bella Angelica Ribaudi, coi biondi capelli in disordine e le fresche gote di diciottenne arrossate, affannando per aver fatto le scale a quattro a quattro, si fermò un attimo sul pianerottolo per calmarsi; indi mise pian pianino la chiave nella serratura, girò delicatamente, spinse la porta senza far rumore e scivolò in casa come una ladra.
Voleva arrivare prima di sua madre, ch’ella aveva intravisto in fondo alla strada scendere dal tram. Non già che la turbasse l’idea di rincasare tardi per la cena, ma una volta tanto ch’era arrivata un po’ meno tardi del solito poteva esser comodo evitare i rimproveri e le frasi amare della madre e magari farle credere d’essere arrivata molto prima. Non le capitava mai di rincasare quando la mamma non era ancora in casa. In punta di piedi percorse il corridoio. Davanti alla camera del padre si fermò un attimo, trattenendo il fiato; spinse appena la porta socchiusa, guardò dentro e respirò: la camera era buia. Il babbo non era ancora rientrato. Quanto ai fratelli, non c’era pericolo che rincasassero prima dell’alba. E la donna di servizio, sempre chiusa in cucina, non si accorgeva mai di chi entrava e usciva e di quello che avveniva nella grande casa. Angelica si chiuse nella propria stanza. Senza accendere la luce si sfilò in fretta l’abito, infilò precipitosamente una vestaglia e allo scuro corse a stendersi sul letto, perché voleva che i familiari, rincasando, la trovassero così e pensassero che era in casa da molto tempo. E intanto tese l’orecchio per sentire da un momento all’altro girar la chiave nella porta di casa e il passo di sua madre che entrava e la sua voce che domandava alla domestica: “È rientrata la signorina?” e la domestica che avrebbe risposto: “Non ancora” e la mamma che si sarebbe lamentata per i continui ritardi di lei e che poi l’avrebbe trovata in camera dormiente. Una volta tanto, una piccola rivincita. Ma non s’udiva nulla.
La ancora giovanile e piacente signora Iride Ribaudi, coi capelli un po’ in disordine e affannando per aver fatto le scale di corsa, mise pian piano la chiave nella serratura, girò delicatamente, spinse la porta senza far rumore e scivolò in casa come una ladra. Voleva arrivare prima di suo marito che aveva intravisto in fondo alla strada. In punta di piedi traversò il corridoio. Nel passare davanti alla camera di sua figlia respirò: la camera era buia e silenziosa, Angelica non era ancora rientrata. Non già che dovesse render conto. Ma in certi casi è noiosa la testimonianza dei figli; e, poi, d’una figlia come Angelica! La signora Iride si chiuse nella propria stanza, sena accender la luce si spogliò in fretta, infilò precipitosamente la vestaglia e allo scuro corse a stendersi sul letto poiché voleva che i familiari, rincasando, credessero che ella era in casa da tempo.
Giovanni Ribaudi, affannato per aver fatto le scale di corsa, mise pian pianino la chiave nella serratura, girò delicatamente, spinse la porta senza far rumore e scivolò in casa come un ladro. Voleva che i familiari non s’accorgessero ch’egli rincasava così tardi. La casa era grande e con qualche accorgimento si poteva farla in barba a tutti. In punta di piedi traversò il corridoio, si fermò un attimo e udendo un perfetto silenzio, respirò: le due donne dormivano. Dopo un po’ udì la voce di sua moglie che chiedeva alla domestica: “Il signore è rientrato?” “Nossignora” disse la domestica. “Chi è in casa?” “Nessuno.”
Giovanni si affacciò dalla propria stanza. “Ma sì, cara” disse “sono qua da un’ora. Siccome ti ho trovata che dormivi non ho voluto svegliarti.” “Già,” disse la signora Iride “sono rincasata due ore fa e poiché non c’era nessuno in casa, mi sono messa un po’ a riposare.” Aggiunse con un sospiro: “Angelica non è ancora tornata”.
Bugiarda, pensò Angelica, con la voglia di piangere per la rabbia. Ma in quel momento il padre aprì la porta della camera di Angelica. “È qui” esclamò. “Oh” fece la signora Iride “non lo sapevo.” Angelica finse di svegliarsi. “Non sono uscita affatto,” disse “ho dormito tutto il pomeriggio.” Cenarono in silenzio.

Achille Campanile (1889-1977) è stato uno scrittore, drammaturgo, sceneggiatore e giornalista italiano, celebre per il suo umorismo surreale ed i giochi di parole.
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