Il bambino nella notte

Luca Vitali luglio 2023

Ero uscito da poco dalla casa di M. e stavo cercando di orientarmi per ritrovare la stazione della metro. Quel quartiere, mai frequentato prima e molto lontano da casa mia, mi aveva convinto a usare i mezzi pubblici nonostante la probabile ora tarda del rientro. Con il cell (che mi aveva aiutato egregiamente all’andata) completamente scarico e le strade buie che nascondevano le targhe con il loro nome, cominciavo a sentirmi perso e un po’ inquieto.
Dopo essere tornato sui miei passi emergendo da una stradina senza uscita ho visto poco lontano il fascio di luce di un lampione miracolosamente acceso e un piccolo uomo seduto lì sotto sul bordo del marciapiede. Mi sono avvicinato pensando di chiedere indicazioni per la metro, ma mentre camminavo il presunto uomo ha alzato lo sguardo e si è rivelato essere un bambino. 8-9 anni, lunghi capelli biondi, sguardo dolce e sorriso amichevole.
– Ciao.
– Ciao, mi puoi aiutare? Sto cercando la stazione della metro ma mi sono perso e queste strade sono così buie…
– Ma la metro non è qui, è dalla parte opposta, devi tornare indietro, attraversare Largo Transilvania e girare alla seconda a destra.
Mi sono sentito ancora più perso. La situazione mi stava sfuggendo di mano definitivamente: il cell morto, il quartiere sconosciuto e completamente al buio, nessun taxi e nessun essere umano nelle vicinanze a cui chiedere aiuto. Nessun essere umano ADULTO, intendevo: solo quel bambino piccolo, che non poteva essere di molta collaborazione. Poi, improvvisa, mi colpisce la stranezza della situazione.
– Scusa, ma è l’una di notte, che fai tu qui a quest’ora? Non dovresti essere a letto da parecchio?
Un attimo di silenzio, poi una voce incerta.
– Mi hanno spento la play… non mi è piaciuto lasciare Huggy all’improvviso, allora sono uscito senza farmi vedere…
– Huggy eh… io sono Marco, come ti chiami?
– Jonathan. Se vuoi ti posso accompagnare alla stazione metro, però prima tu mi fai un favore, va bene?
La situazione continuava a stupirmi per la sua placida anormalità: un bambino piccolo, chissà perché tutto solo nel cuore della notte, offriva aiuto a un adulto grande e grosso che, di norma, in quel contesto NON avrebbe dovuto chiedere aiuto. Anzi.
– Va bene, Jonathan, qual è il favore?
Jonathan rifletté un momento, poi si alzò, infilò la sua piccola mano nella mia e cominciammo a camminare verso il buio. Era un contatto caldo, fiducioso, come se il bambino mi avesse conosciuto da sempre. Mi sono sentito calmo, adulto e responsabile.
– Prima di andare alla stazione passiamo un momento da casa mia che è lì vicino e tu dici a mio padre che ti sto accompagnando. Così lui non si arrabbia quando poi ritorno. Va bene?
Mi sembrava parecchio strana quella situazione padre-figlio, ma il ruolo che mi si chiedeva non era particolarmente impegnativo: accettai. Continuammo a camminare.
– Così tu non conosci Wuggy? È tanto famoso… il nome vero è Huggy Wuggy, era un videogioco all’inizio.
– No, mai sentito prima. Ma stiamo andando bene di qua, Jonathan? Sei sicuro?
– Sì. Ma tutti lo conoscono no? Tu eri Huggy e dovevi entrare in un capannone abbandonato da dieci anni, tutto buio, e dovevi risolvere tanti puzzle e aprire delle porte. Poi c’erano dei vecchi giocattoli che però erano vivi e cercavano di rapirti e ucciderti.
– È un gioco pauroso allora? Non è vietato come quell’altro…. come si chiama, Car Thief?
– Ma che vietato, ci giocano ancora tutti e piace a tutti, e tutti giocano pure a Car Theft, ma dove vivi? Non giochi mai online tu?
– Mah… qualche volta a casa di un amico ho giocato con i calciatori, Fifa qualche cosa.
Jonathan continuava a guidarmi calmo nel buio, mano nella mano, sembrava immerso nei pensieri.
– Qui si gira a destra, attento al marciapiede. Comunque a un certo punto hanno cominciato anche a vendere i pupazzi di Huggy. Io ne ho tre, uno è alto mezzo metro. Due sono Huggy e l’altro è Kissy Missy. Poi vendono anche Mommy Longlegs, ma io non ce l’ho.
– Ah, ma i pupazzi te li porti a letto quando dormi? Ma come è fatto questo Huggy?
Il ragazzino mi lanciò uno sguardo di compatimento.
– Ma non ci vai mai su Youtube? Come fai a non averlo mai visto?
Qualche secondo di silenzio, solo il rumore dei nostri passi dilatato nel buio.
– Huggy non è da portare a letto… è fatto per metterti paura. È tutto blu, peloso, ha una testa grossa e una  bocca grossissima con tanti tanti denti aguzzi… poi, lui ha uno sguardo crudele, perché ti vuole fare del male. E anche Kissy e Mommy hanno lo sguardo cattivo.
Eravamo sbucati in un piazzale, doveva essere quel Largo Transilvania di cui aveva parlato prima Jonathan. Anche qui buio quasi totale, solo una fioca luce da un lampione all’angolo. Vicino al lampione si intravedeva un taxi, fermo a luci spente. Poteva essere d’aiuto? Mentre esitavo, la manina di Jonathan strinse forte la mia e mi tirò via.
– Ma dai, siamo quasi arrivati, la stazione è a trecento metri.
Continuammo a camminare, una cinquantina di metri per una via stretta e malridotta, almeno a giudicare dai miei passi incerti. Jonathan procedeva sicuro, continuando sereno le sue spiegazioni.
– Huggy e Kissy però non sono solo pupazzi. Su youtube ci sono i video e sembra tutto vero… prima si sentono dei respiri forti nel buio, sono sempre più forti, come minacciosi… poi si vede Huggy che spunta, le zanne gli luccicano, arriva pure kissy, loro si avvicinano, si sentono i loro denti aguzzi che sbattono e sbattono e sbattono, continuano a sbattere e tu muori dalla paura, poi ti acchiappano e ti portano via nel buio. Quei video non sono finti, sembrano documentari, girati tanto tempo fa in bianco e nero.
– Però, simpatici quei due… e dopo che fanno? Ti succhiano tutto il sangue come i vampiri?
Jonathan fece un piccolo sospiro impaziente, poi mi informò tranquillo:
– Ma i vampiri non ti succhiano TUTTO il sangue. Solo un po’, quello che gli serve per vivere e volare in giro. Huggy e Piggy sono differenti. Comunque siamo arrivati a casa mia, adesso dici a papà che ti accompagno alla metropolitana e poi proseguiamo.

Eravamo fermi davanti a quella che sembrava una malandata villetta a due piani, le persiane chiuse, nessuna luce e nessun segno di vita all’interno. Magari il papà era in giro alla ricerca del figlio… Salimmo tre scalini fino all’ingresso, Jonathan premette un pulsante lì vicino e il portoncino si aprì con uno scatto metallico. Buio pesto all’interno. Il bambino gentilmente mi fece cenno di entrare per primo.
– Sai… Huggy prima ti azzanna, tu allora diventi come una specie di liquido e lui alla fine ti beve tutto.
La porta si richiuse alle mie spalle e nel buio sentii qualcuno che si avvicinava respirando convulsamente.
Poi i denti cominciarono a battere, lenti.

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