Coccodrilli

Giuseppe Pugliese, aprile 2025

A lui è sempre piaciuto pescare. Intendo a mio padre.
E ha provato a coinvolgermi, a portarmi con sé sin dalla più tenera età. Devo riconoscerlo: ha avuto tanta pazienza con me.
Io mi facevo volentieri intrigare e poi avvincere dalle sue meravigliose storie; quelle che mi raccontava la sera al posto delle fiabe, per farmi addormentare. Ricche in particolari e piene di momenti epici, che non vedevo l’ora di rivivere. Prede inafferrabili e catture ardimentose, infischiandosene dei possibili pericoli.
La realtà però era molto diversa. Il grande rio che immaginavo si rivelava un fiumiciattolo; la fitta savana esisteva solo nella mia mente: intorno c’era giusto una boscaglia spelacchiata; i magnifici pesci giganti si riducevano a dei pesci gatto dalle dimensioni appena decenti.
Il tutto poi condito da una noia mortale. Dovevi stare fermo immerso nell’acqua e aspettare che qualcuno di loro ingolosito dalla preda tentasse ingenuamente di appropriarsene.
In quei momenti, finalmente, nella breve lotta tra la vita e la morte che ne seguiva, l’ambiente sembrava rianimarsi, acquisire un po’ di colore e ben poca importanza aveva chi ne uscisse vincitore.
Così dopo un po’ io cominciavo a tirare sassolini nell’acqua tentando di farli rimbalzare, canticchiavo (seppure a bassa voce) oppure addirittura pretendevo di fare il bagno.
É chiaro che mio padre smise presto di propormi di accompagnarlo.
Io di tanto in tanto (via via sempre più raramente) per fargli piacere gli dicevo deciso “Domani vengo con te” e lui sembrava apprezzare la mia buona intenzione salvo subito dopo scuotere la testa e rispondere “No, no, non ti preoccupare. Ti annoieresti. Vai pure a giocare con i tuoi amici”. E tutti e due in fondo eravamo consapevoli di aver recitato dignitosamente la nostra parte e andava bene così.
La storia più bella che mi avesse mai narrato era quella dei coccodrilli che vivevano nel fiume e che si nascondevano talmente bene che era difficilissimo individuarli, ma che occorreva stare all’erta. Più di una volta lo avevano sfiorato e lui coraggiosamente era sempre riuscito con destrezza a schivarli, ma insomma… non era una bella esperienza trovarseli accanto.
Me ne aveva anche regalato due di peluche che io usavo per ripetere quelle storie in sue assenza. Giocavo e sognavo.
Ma non ce ne potevano stare lì, in quelle poche dita d’acqua melmosa.
Era una balla troppo grossa e smisi di crederci anche se lui insisteva sempre di sì.
Comunque poi l’artrite ha preso a infastidirlo parecchio e ora ci si è messo anche il parkinson a rompergli i coglioni. Ha smesso da tempo di pescare.

* * *

Sta di fatto che oggi sono venuto a trovarlo.
Lavoro fuori è non é semplice per me liberarmi. Mille impegni e mia moglie e mio figlio che reclamano attenzione pure loro. 
Abbiamo parlato del più e del meno. É in una delle sue giornate buone. E io ho una 4 x 4.
“Ti porto al fiume” gli ho detto di getto e lui é stato contento, gli si è proprio illuminato il viso.
Ho condotto la macchina il più vicino possibile e poi piano piano ci siamo avvicinati alla sponda.
Per un attimo l’ho perso di vista e sono andato avanti da solo. Poi improvvisamente ho percepito la sua assenza alle mie spalle e sono tornato indietro, sui miei passi.
Era fermo, immobile, come paralizzato.
Preoccupato gli ho chiesto “Papà cos’hai, come stai?” E lui in risposta ha alzato lentamente un braccio e puntato un dito.
Ho guardato il fiume attentamente in quella direzione. E poi li ho visti.

Immagine di ChatGPT

Translate

On this website we use first or third-party tools that store small files (cookie) on your device. Cookies are normally used to allow the site to run properly (technical cookies), to generate navigation usage reports (statistics cookies) and to suitable advertise our services/products (profiling cookies). We can directly use technical cookies, but you have the right to choose whether or not to enable statistical and profiling cookies. Enabling these cookies, you help us to offer you a better experience.